La dottoressa Federica Alemanno, responsabile del Servizio di Neuropsicologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, spiega come nei pazienti ricoverati per Covid-19 compaiano alterazioni dell’efficienza cognitiva.
Già pochi mesi dopo i primi ricoveri per Covid-19, la scorsa primavera, è emersa la necessità che i pazienti ospedalizzati fossero seguiti anche da un punto di vista riabilitativo con interventi cognitivi e neuropsicologici mirati, oltre che motori e respiratori. Per tali ragioni, al San Raffaele, tra i primi al mondo, abbiamo avviato un Reparto di Riabilitazione Covid infettivi in cui, oltre alle cure mediche specialistiche e alla riabilitazione della compromissione “fisica” per il ripristino della piena funzionalità respiratoria e di movimento, è stata realizzata, da subito, una presa in carico anche per gli aspetti “meno visibili”, ma sicuramente presenti e, purtroppo, “subdoli”, quali le alterazioni dell’efficienza cognitiva derivanti da infezione da SARS-CoV-2 e il vissuto psicologico-emotivo associato a Covid-19.
Circa il 20% dei pazienti ricoverati per Covid-19 al San Raffaele – tra Terapia Intensiva, Medicina e Malattie Infettive – ha avuto infatti bisogno di essere assistito presso l’Unità di Riabilitazione Covid-19 infettivi dell’Ospedale. Nella prima ondata, abbiamo curato in riabilitazione Covid-19 circa 140 pazienti, ancora infettivi. Nella seconda ondata circa 160, per un totale a oggi di 300 pazienti. Tra questi, abbiamo coinvolti 87, tra i primi ricoverati, selezionati nella fase sub-acuta della malattia (circa dieci giorni dopo la comparsa dei sintomi e ancora infettivi) e con un età media di 67 anni, per capire quali fossero i fattori che potevano determinare disturbi cognitivi e depressione.
Questi pazienti hanno eseguito una valutazione neuropsicologica con test specifici volti a indagare le funzioni cognitive (linguaggio, memoria, attenzione, orientamento, funzioni visuo-spaziali) durante il periodo di degenza nel Reparto Riabilitazione Covid-19, in fase subacuta di malattia e ancora infettivi. I pazienti sono stati monitorati e rivalutati a un mese dal rientro a casa, dopo la dimissione ospedaliera.
I disturbi cognitivi
Il primo dato importante che è emerso è che l’80% dei pazienti presentavano disturbi cognitivi (alterazioni di memoria, attenzione, capacità di astrazione, orientamento, capacità di calcolo e linguaggio) e il 40% dei pazienti, depressione. Il secondo dato è un apparente paradosso: i pazienti che sono stati intubati e sedati, che costituiscono i più gravi per severità di malattia e sintomatologia tra i pazienti Covid-19, sono risultati meno colpiti da problemi cognitivi e di memoria rispetto a coloro che avevano avuto necessità di una minore assistenza respiratoria.
La relativa riduzione dei disturbi cognitivi nei pazienti sedati e intubati, rispetto a quelli che hanno ricevuto una terapia ventilatoria non invasiva suggerisce che il disturbo cognitivo osservato in questa popolazione di pazienti ospedalizzati, non sia legato alla gravità della infezione da SARS-CoV-2, ma che possa essere rappresentato dall’aver vissuto in fase cosciente tutto il percorso ospedaliero della malattia. Lo stress emotivo prolungato, i cambiamenti di ambiente e di ritmo sonno veglia, il distacco dai familiari e l’età, sono tutti fattori che notoriamente influiscono negativamente sull’efficienza cognitiva.
Il follow-up a un mese dalla dimissione e a 3 mesi dall’esordio di malattia, ha evidenziato il persistere del disturbo cognitivo, seppure in maniera ridotta, nella maggior parte dei pazienti, e la presenza di disturbi a livello psicologico – emotivo.
Patologie a lungo termine
Le Unità di Riabilitazione, per la loro organizzazione strutturale, sono composte da un team multidisciplinare costituito da medici specialisti, psicologi, nutrizionisti, fisioterapisti, terapisti occupazionali ed infermieri. La malattia causata da SARS-CoV-2 ha inaspettatamente messo in evidenza una patologia multisistemica e non una semplice polmonite virale. L’approccio riabilitativo, per sua natura multidisciplinare, effettuato in fase precoce quando i pazienti erano infettivi, ha permesso di mettere in evidenza tutti gli aspetti della malattia (disturbi cognitivi, disturbi motori, calo del peso, depressione e disturbi dell’umore) e quindi di poter intervenire precocemente.
Oltre a questi aspetti, il dato di persistenza di sintomatologia cognitiva a 3 mesi dall’esordio di malattia e al termine della guarigione clinica comunemente intesa, sancita dal rientro a casa, fa luce, inoltre, sull’elevato rischio e sulla complessità della sintomatologia, anche cognitiva e psicologica, da “long Covid-19 syndrome”, ben oltre il termine della fase infettiva di malattia.
Il supporto psicologico
A distanza del picco di emergenza della prima ondata, oggi possiamo affermare con certezza l’importanza di una diagnosi neuropsicologica e di una riabilitazione cognitiva precoce nei pazienti Covid-19 ospedalizzati. I risultati del nostro studio dimostrano quanto frequentemente si possano osservare infatti deficit neuropsicologi (cali di prestazioni delle funzioni cognitive quali attenzione, memoria, linguaggio a breve e a lungo termine) nei pazienti Covid-19 e di come questi deficit possano essere influenzati dal tipo di assistenza respiratoria e da altri fattori connessi al percorso ospedaliero dei pazienti.
Inoltre, a queste riflessioni si aggiunge anche la necessità di un supporto psicologico e di un training cognitivo a lungo termine nel post-ricovero, possibilmente attraverso l’uso di nuove tecnologie, come la telemedicina, che rendano possibile l’intervento anche in remoto.
Federica Alemanno
Responsabile del Servizio di Neuropsicologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele
Fonti:
Covid-19 cognitive deficits after respiratory assistance in the subacute phase: a Covid- rehabilitation unit experience – PLOS ONE, 2021 – https://doi.org/10.1371/journal.pone.0246590
Per sostenere Medical Facts tramite Gofundme clicca qui, per sostenerci tramite PayPal clicca qui.