L’attacco ischemico transitorio può costituire l’avvisaglia di una malattia cerebrovascolare più pericolosa: l’ictus ischemico. Una revisione sistematica recentemente pubblicata sulla rivista JAMA riassume le più recenti evidenze scientifiche a riguardo.
In un precedente articolo abbiamo parlato dell’attacco ischemico transitorio (abbreviato TIA – transient ischemic attack): si tratta, secondo le definizioni più recenti, di una disfunzione neurologica di breve durata causata da un’ischemia (cioè un’inadeguata perfusione vascolare) senza che si sviluppi un vero e proprio infarto a livello del sistema nervoso centrale. Dal punto di vista clinico, si presenta con sintomi variabili e, caratteristicamente, di durata limitata nel tempo: possono manifestarsi disturbi motori, sensitivi, visivi, del linguaggio o dell’equilibrio che regrediscono spontaneamente nell’arco di minuti o ore.
L’ictus ischemico, invece, si verifica quando i neuroni, sprovvisti di ossigeno e nutrienti a causa di un inadeguato flusso sanguigno, vanno incontro a morte irreversibile. In questo caso le cellule danneggiate non recuperano le loro funzioni, e il deficit neurologico conseguente è, in una certa misura, permanente.
Negli ultimi 25 anni, l’attenzione posta sui casi di TIA è aumentata: molte evidenze hanno infatti suggerito che, spesso, a tali attacchi ischemici transitori fa seguito un ictus vero e proprio.
Una revisione sistematica recentemente pubblicata sull’eminente rivista scientifica JAMA – Neurology ha analizzato i risultati di numerosi studi clinici condotti negli ultimi anni, raffinando ulteriormente le evidenze scientifiche sull’argomento.
La revisione sistematica di JAMA
Questa analisi si è posta una domanda precisa: con quale incidenza si presenta un ictus ischemico dopo che si è verificato un attacco ischemico transitorio?
Per rispondere a tale quesito, sono stati selezionati 68 studi condotti nel corso degli ultimi 50 anni (precisamente dal 1971 al 2019) in 25 Paesi appartenenti a diversi continenti. Per evidenziare eventuali differenze nel tempo, tenendo conto anche dei rilevanti progressi scientifici avvenuti, la popolazione esaminata è stata ulteriormente suddivisa in tre fasce temporali: individui arruolati prima del 1999, tra il 1999 e il 2007, e successivamente al 2007.
Sono stati presi in esame 206.455 individui in totale, che sono risultati per la maggior parte di sesso femminile (42% uomini, 58% donne). Le più frequenti malattie concomitanti si sono rivelate l’ipertensione arteriosa, il diabete, le malattie vascolari e gli alti livelli di grassi nel sangue; in misura minore, la fibrillazione atriale, un precedente ictus ischemico, il fumo di tabacco e la stenosi delle arterie carotidee.
I risultati dell’analisi parlano chiaro: il rischio di avere un ictus ischemico in seguito ad un TIA è stato stimato del 2,4% dopo 2 giorni dall’attacco ischemico transitorio, del 3,8% dopo 7 giorni, del 4,1% a 30 giorni e del 4,7% a 90 giorni.
C’è però un dato interessante estrapolato dagli studi: l’incidenza di ictus conseguente a TIA appare più elevata negli anni antecedenti il 1999. In altre parole, negli ultimi 20 anni si sono ridotti gli ictus conseguenti ad attacchi ischemici transitori. Questa differenza potrebbe essere correlata alla maggior attenzione posta sul problema e al diverso approccio terapeutico: le crescenti evidenze scientifiche hanno permesso non solo di comprendere e gestire meglio gli episodi di TIA, ma anche di affrontare e correggere i principali fattori di rischio (primo tra tutti l’ipertensione arteriosa).
Una tendenza positiva
I dati indicano, tuttavia, che questa tendenza positiva osservata a cavallo del nuovo millennio non è progredita negli anni successivi: l’incidenza di ictus conseguenti a TIA non è ulteriormente diminuita negli anni successivi al 2007 rispetto agli anni precedenti. I ricercatori interpretano questo fenomeno come un riflesso dell’aspettativa di vita sempre più lunga: nonostante il trattamento delle malattie cerebrovascolari e dei fattori di rischio sia migliorato, la popolazione mondiale raggiunge età sempre più avanzate, esponendosi così ad un rischio sempre più elevato di ictus.
I dati raccolti indicano che avere un attacco ischemico transitorio è un campanello d’allarme importante, in quanto è correlato ad un alto rischio di essere colpiti da un ictus ischemico nei giorni o mesi successivi. Grazie ai progressi scientifici, siamo oggi in grado di riconoscere e di trattare questa condizione con sempre maggior efficacia, e gli studi in corso continuano ad offrire nuove e incoraggianti evidenze.
Giorgia Protti
Fonti:
https://jamanetwork.com/journals/jamaneurology/article-abstract/2771410?resultClick=1
https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMcp1917030
https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMcp1908837
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