La narcolessia è un disturbo che provoca improvvisi attacchi di sonnolenza diurna, con importanti conseguenze sulla quotidianità. Discutiamo in cinque punti le caratteristiche fondamentali di questa malattia.
1) È un disturbo appartenente alla categoria delle “parasonnie”
Le parasonnie sono un’ampia categoria di disturbi del sonno: manifestazioni indesiderate che talvolta sembrano finalizzate al raggiungimento di un obiettivo, e che spesso comportano frammentazione o inefficacia del riposo notturno di chi ne è affetto (e/o di chi gli sta accanto). La narcolessia fa parte di questo gruppo di patologie: è definita come una malattia cronica caratterizzata da eccessiva sonnolenza e tendenza all’addormentamento durante il giorno.
2) Le manifestazioni vanno dalla sonnolenza alla cataplessia
In molti individui affetti, la sonnolenza è così severa da compromettere la concentrazione e provocare l’addormentamento durante le ore scolastiche, lavorative o di inattività (ad esempio guardando un film). Le persone affette da narcolessia sperimentano sonnolenza tutti i giorni, indipendentemente da un adeguato riposo notturno; anzi, al risveglio sentono che il sonno è stato ristoratore, ma inevitabilmente la sonnolenza si ripresenta a distanza di poche ore. Possono associarsi disturbi del sonno REM, provocando peculiari situazioni di transizione tra la veglia e il sonno. La manifestazione più drammatica è la cosiddetta cataplessia: un’improvvisa paralisi dei muscoli volontari (che spesso inizia con quelli di volto e collo ma può estendersi a tutti i muscoli del corpo) che si sviluppa in conseguenza di una forte emozione.
3) Si distinguono due categorie di narcolessia, differenti per sintomi e meccanismi sottostanti
Il tipo 1 è caratterizzato da sintomi più gravi ed è causato dalla perdita di una particolare popolazione di neuroni, localizzati nell’ipotalamo e specializzati nella produzione di un neurotrasmettitore: l’oressina, una molecola che riveste ruoli importanti nella regolazione del ciclo sonno-veglia e dell’appetito. Come mai questi neuroni vadano incontro a distruzione non è chiaro, ma potrebbero avere un ruolo fattori genetici e autoimmunitari. La narcolessia di tipo 2 è sintomatologicamente più lieve e il meccanismo sottostante non è ancora stato chiarito.
4) Rappresenta una delle più comuni cause di sonnolenza diurna cronica
Colpisce circa 1 persona su 2000, ma spesso non è riconosciuta o viene diagnosticata con ritardo (in media 5-15 anni dall’inizio dei sintomi). Il disturbo viene maggiormente sospettato dopo che si sviluppano conseguenze nella quotidianità, come un peggioramento dei voti scolastici, del rendimento lavorativo o un incidente stradale. Insorge solitamente intorno all’età di 10-20 anni, in maniera improvvisa. Spesso chi ne è colpito tende ad aumentare di peso (probabilmente a causa di un rallentamento del metabolismo), a soffrire di altri disturbi del sonno associati (come apnee ostruttive e sonnambulismo) e di depressione.
5) Approcci diagnostici e terapeutici specifici
La diagnosi è solitamente deducibile dalla storia clinica, ma dev’essere confermata tramite l’esecuzione di esami specifici come la polisonnografia e il test di latenza multipla del sonno: tali esami aiutano a identificare la qualità e quantità del sonno (escludendo altre patologie che compromettono in primo luogo il riposo notturno), la sonnolenza e la rapidità di addormentamento durante il giorno. Il trattamento della narcolessia prevede una combinazione di approcci comportamentali e farmacologici. Assicurare una buona qualità del sonno notturno, trattare ulteriori disturbi del sonno associati e concedere dei sonnellini programmati di 15-20 minuti sono accorgimenti che aiutano a controllare la sonnolenza diurna. Innumerevoli classi farmacologiche (dagli antidepressivi ai derivati amfetaminici) sono state utilizzate per favorire la veglia durante il giorno, ognuna con variabili tassi di efficacia ed effetti collaterali. Ulteriori ricerche sono in atto per trovare nuove soluzioni terapeutiche (inclusa la supplementazione di oressina e il trapianto neuronale) e ottenere un miglior controllo dei sintomi.
Giorgia Protti
Fonti:
https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMra1500587
https://www.ccjm.org/content/85/12/959
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/28777172/
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